Sulla scorta di un prezioso documento della Biblioteca Vaticana, Mons. Rossi potè dimostrare la maggiore antichità e celebrità della Cattedra Telesina in opere che meritano un Rescritto Laudatorio di Leone XII. Dal documento risultava che il 19 settembre del 465 Florenzio, vescovo di Telesia, era intervenuto, con altri 45 confratelli, al Concilio Romano II indetto da Papa Ilario. Ma anche in questo caso, non è gratuito pensare che se Florenzio è il primo vescovo di cui si ha notizia scritta, la Cattedra Telesina dovè essere costituita, per le ragioni suddette, già in precedenza. Telesia comunque, divenne un centro religioso di notevole importanza anche prima della distruzione saracena. Da questa Chiesa Locale emerse, infatti S. Barbato, nato in contrada Vandali di Castelvenere nel 602 o 603, questi, divenuto vescovo di Benevento, si adoperò per riportare alla fede cattolica i Longobardi, in parte Ariani, estirpandone i culti tribali, come quelli della vipera e degli alberi. Uomo di vasta cultura e di grande prestigio, può essere considerato il Gregorio Magno del Sud, non solo per l’influenza esercitata su tutta la Longobardia meridionale, ma anche per l’opera di organizzazione sul piano disciplinare, morale, culturale della Chiesa sannita che allora versava in uno stato di profonda crisi. Non è improbabile l’ipotesi che S. Barbato abbia guidato insieme ad altre diocesi vedovate di Pastori in quel momento burrascoso, anche quella di Telesia. Nell’anno 1407, veniva nominato vescovo tale Clemente. Questi, non potendo resistere, come disse, a gli urti dell’aere divenuto insalubre ed irrespirabile, a cagione dei pantani e delle mofete, si trasferì nella Rocca che è sul piccolo monte a ridosso di S. Salvatore. Sette anni dopo, venuto al vescovado Macario Brancia amico del Sanframondo, con i quali aveva parteggiato contro gli Aragona, trovò tutta la sua convenienza nell’andarsene a Cerreto, ed esagerato anche dappiù il fatto dell’aria grossa e potente, aggiunse l’umidità prodotta dal Grassano, e lo stuolo grande delle mosche. Ma fu smentito dal suo successore Ferdinando Gemel de Gurrea de Calatajud, il quale, pure essendo, come ogni spagnolo, il più nobile tra i nobili, non avendo per amico ed ospite il conte di Cerreto, dal 1455 al 1458 se ne restò tranquillamente in Telese, ove né le febbri lo presero, né le mosche lo molestarono. Negli anni seguenti rimasero a Telese sia il Vescovo Meolo Mascanbruni, il Vescovo Pietro Palagario e il Vescovo Biagio Caropipe. Così non piacque al Vescovo Giovanni Beroaldo, che, rinfrescato il pretesto dell’aria grossa e delle mosche, preferì fermarsi in Faicchio, ma Cherubino Lavorio e poi Annibale Cutaneo, si decisero per Cerreto, ove, per dappiù, le Clarisse facevano buoni dolci. Si giunse in seguito a Eugenio Savino, che venne nella Diocesi col formato e fermo proposito di riordinarla e di decidere una volta per sempre la questione della residenza. Pel primo scopo fece compilare esatti inventarii dei beni della chiesa cattedrale e delle parrocchiali, pel secondo accettò la donazione d’un palazzo fattagli da Sisto Mazzacane, nel 2 novembre 1600 sito in Cerreto e vi si stabili. Successe Mons. Eugenio Cattaneo che, perseguendo il proposito del Savino, finì di spogliare la ormai abbandonata cattedrale Telesina nulla lasciandovi che fosse da conto. Dopo di questi venne a capo della Diocesi Gianfranco Leone, cui non piacendo le mezze misure, ai 3 di maggio del 1608 riunì un sinodo Diocesano nella Cattedrale di Telese ove a tutti fece vedere e constatare che ritornare e rimanere in quella nuda spelonca non era possibile, e li persuase a pacificarsi circa la nuova residenza in Cerreto, ove ormai tutto era pronto per la nuova sede. Ottenuto l’assenso, chiese alla S. Sede la ratifica del deliberato sinodale, e venne per l’informo giudiziale Valerio Seta vescovo di Alife. Questi, nell’anno 1611 confermò con sua relazione lo stato deplorabile della Chiesa Cattedrale, la malignità dell’aere, la desolazione di quella città rimasta senza popolo e senza abitazioni, e l’esistenza perniciosa delle mofete , e delle acque stagnanti e paludose, che ne rendevano micidiale la dimora. Intorno al secolo X sorgeva la prima chiesa cattedrale, con campanile ed episcopio. Questo primo tempio fu poi riedificato intorno al Mille. Per la ricostruzione della chiesa furono riutilizzati elementi di tempi pagani dell’antica Telesia. Il suo titolo originario di SS. Trinità secondo alcuni di Maria SS. della Trinità fu poi mutato in quello di SS. Croce. Ma è notevole il fatto che quando Mons. Leone ottenne, nel 1612 , che il vescovo e i canonici potessero celebrare i Divini Uffici e le funzioni episcopali nella chiesa di S. Leonardo in Cerreto, questo tempio, restaurato ed ampliato, fu dedicato alla SS. Trinità, titolo che poi passò all’attuale cattedrale di Cerreto, edificata dopo il terremoto del 1688. La cattedrale era a tre navate, con archi e colonne. L’altare maggiore era posto sotto una piccola tribuna ed ornato da un affresco raffigurante la Madre di Dio. Erano in pietra il pulpito e la sedia vescovile sotto un trono fiancheggiato da colonne marmoree: quelle anteriori poggiate su due leoni; sull’architrave poggiante sulle colonne era un’aquila maestosa scolpita in pietra. Nella parete vi era la tomba di Tommaso, vescovo telesino con un’iscrizione in versi leonini, diversi affreschi ed altari in marmo on numerose reliquie. Anche la torre campanaria, ancora visibile, è ritenuta generalmente tardo-longobardica. L’otto dicembre 1959 veniva benedetta e aperta al culto dal vescovo Mon. Felice Leonardo la nuova chiesa. Realizzata nel suolo rustico con finanziamento statale, fu poi rifinita e dotata dal parroco Don Mario Goglia con le offerte del popolo. Fatta costruire, in sostituzione della precedente, dal duca Bartolomeo Grimaldi intorno al 1694, era stata riedificata nel 1863 ad opera di Achille Iacobelli. Nel 1911 il parroco Don Vincenzo Del Vecchio l’aveva fatta ristrutturare: con due navate, due altari in marmo, più quello maggiore con balaustra, dono di Mon. Iannacchino, presentava un insieme prospettico a timpano centrale con due torrioni, uno a destra funzionante da campanile, l’altro a sinistra da orologio. Al suo posto veniva creata l’attuale Piazza A.M. Iannacchino. Nel 1982 iniziarono una serie di lavori, che portarono all’ampliamento del Presbitero, decorato in mosaico oro, dotato del tabernacolo in bronzo dorato, del trono, sedie, altare basilicale, ambone, battistero in perlato di Pietraroja, di un suggestivo ed artistico crocifisso, in cemento bronzato, quasi sospeso nel catino absidale. La navata, ridipinta al quarzo, fu impreziosita da Via Crucis scolpite in plastica, da 10 finestre e un rosone con vetri istoriati legati al piombo, da originali lampadari e tamburo in vetro, dalla nuova statua in legno di S. Stefano, da impianto elettrico e di amplificazione. Intorno agli anni 2000 veniva completato, dall’attuale parroco, il campanile che veniva dotato di quattro campane di cui due risalenti a periodi storici passati.